Lo ha annunciato il parroco don Fabio Fasciani durante la veglia di preghiera per il sacerdote ucciso in Turchia dodici anni fa: «Il vicario mi ha esortato a cominciare le pratiche per l'autorizzazione»

 

 

«La salma di don Andrea Santoro sarà custodita nella nostra parrocchia. Avevo in mente di richiederne la traslazione dal Verano dopo il riconoscimento del martirio, ma il vicario, monsignor Angelo De Donatis, mi ha esortato a cominciare le pratiche per ottenere l’autorizzazione. Da subito avvieremo anche la raccolta dei fondi per realizzare la tomba che l’accoglierà». A dare la notizia è stato don Fabio Fasciani, parroco della chiesa dedicata ai Santi Fabiano e Venanzio, dove il sacerdote fidei donum ucciso in Turchia, dodici anni fa, fu parroco, dal 1994 al 2000. E lì ieri sera, domenica 4 febbraio, è stato ricordato con una veglia di preghiera, organizzata in occasione dei 12 anni dal martirio, presieduta dall’ausiliare monsignor Paolo Lojudice.

Al termine, l’annuncio. «Ho conosciuto poco don Andrea. Appartengo a quella generazione di preti romani che hanno sentito più la sua fama che la sua persona – ha detto il vescovo -. Partecipai con lui, invitato da alcune famiglie, a uno dei gruppi che seguiva. Altre volte ci siamo visti in seminario, fino alla domenica prima della sua uccisione». Tra le caratteristiche del sacerdote ucciso a Trabzon indicate dal vescovo, l’essere «luce, presenza, finestra e allo stesso tempo nascondimento». «Un prete che vive seriamente e serenamente la sua vocazione, con passione e con gioia il suo sacerdozio, raccoglie nella sua esistenza personale, nel suo animo, nella sua mente e nel suo cuore, talmente tante situazioni ed esperienze, drammi e dolori, che poi non è strano dire che diventi un tutt’uno con questi – ha aggiunto -. Che diventi una cosa sola con la sua missione, con quello che vive. Le sue preoccupazioni sono quelle della sua gente, i suoi dolori sono quelli che il popolo di Dio sta vivendo. Io credo che don Andrea abbia vissuto e sentito tutto questo. Era un prete fino in fondo, non fino a un certo punto».

Ad ascoltare le parole di monsignor Lojudice, tanti fedeli che si sono riuniti in parrocchia per partecipare alla veglia. Molti di loro hanno conosciuto personalmente don Andrea Santoro. Giulia Pezzone frequentava il gruppo giovani. «Nel ’98 ci portò in Terra Santa. In quell’occasione ho scoperto sia il Medioriente sia don Andrea. Nel momento in cui è partito per la Turchia è cresciuto in me il desiderio di conoscere quelle zone e la sua missione. Così sono andata diverse volte a trovarlo». Nel suo cuore conserva «il ricordo di un uomo profondamente innamorato di Dio. Aveva la capacità di fare conoscere il volto più bello del Padre». E il ruolo di padre don Santoro lo ha avuto per Danilo Cartacci, ordinato diacono due anni fa.

«È entrato nella mia vita in un momento molto particolare, quando mio padre era malato terminale – ha raccontato -. Lo ha accompagnato fino alla morte ed è entrato a far parte della nostra famiglia. Si è verificato quasi un passaggio di testimone. È stato presente in quel momento e anche dopo. Mi ha continuato a seguire, ha celebrato il mio matrimonio, ha battezzato la mia prima figlia. È stato una figura paterna e mi ha generato nella fede. La sua principale eredità è l’amore per la Chiesa». La veglia poi si è intrecciata col simbolo. Poco prima della fine della celebrazione, due ceste sono state poste ai piedi dell’altare. All’interno, del sale e del lievito. «Un invito a diventare sia sale sia lievito nel mondo».

 Di Filippo Passantino pubblicato il 5 febbraio 2018 Roma Sette

 

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