Questo Calendario è pensato per essere un piccolo aiuto ad affacciarsi con rispetto alla fede dell'altro , attrverso le feste che ne scandiscono i ritmi e gli eventi.

Un invito quindi ad accogliere la preghiera dell'altro, così come Dio accoglie le preghiere che salgono a Lui da ogni parte della terra.

Il tema che scandirà i mesi del  2024  sarà quello del Silenzio.

 

IL SILENZIO

 

Da alcuni anni vivo in Arvaikheer, una piccola cittadina che si trova alle porte del deserto del Gobi, in Mongolia. La vita qui è tranquilla, il ritmo lento e gli incontri lunghi, quasi come se la parola stress non si conoscesse. Negli ultimi tempi, però, sento di più il contrasto con i rumori della capitale Ulaanbaatar ogni volta che devo andarci per incontri o lavoro, non sono più abituata al rumore e lo sento fastidioso e invadente. È che ho imparato a trovare il gusto del silenzio, quello spazio che permette l’incontro con sé stessi, dove si può sentire il proprio respiro, il battito del proprio cuore, la fame e la sete, la gioia e il dolore che abitano in noi.

Credo proprio che abbiamo bisogno di questo spazio per sentire la vita, la propria e quella che ci circonda. La vita ha di tutto, il bello e il brutto, il piacere e il disagio, la gioia e il dolore, che si alternano in una danza con poche pause.

Nel silenzio pure l’assenza si fa sensibile, la lontananza e la mancanza favoriscono in qualche modo la tristezza per quegli incontri che non esistono più. Si avvertono la propria incompletezza, l’impotenza, la piccolezza, che ci fanno entrare in luoghi oscuri dell’essere nei quali bisogna saper farsi accompagnare dalla Parola, dalla Luce che fa risorgere dalle proprie tenebre per non rimanerci più del necessario.

Sarà per questo che il silenzio è stato cacciato via dalla nostra quotidianità, per la paura di perdersi nei propri abissi? Eppure, senza la possibilità di avventurarci nel nostro mondo interiore saremmo condannati a vivere di gioie passeggere e nell’ansia che le brutte tenebre eventualmente raggiungano la superficie, e che lì siano più forti di noi.

In realtà, il silenzio è uno spazio nel quale abbiamo bisogno di imparare ad abitare. Solo nel silenzio possiamo ascoltare, riflettere, decidere.

Il silenzio precede l’incontro, quello vero tra anime che diventano capaci di percepire le mutue vibrazioni e sanno accogliere la presenza degli altri e la propria in un tenero abbraccio di rispetto e amore.

Il silenzio precede e segue la Parola ed è l’unico mezzo che ci permette di contemplare e di immergerci in Dio.

Abbiamo bisogno di recuperare il silenzio per entrare nel Grande Silenzio. C’è proprio un film con questo titolo, Il grande silenzio di Philip Gröning, del 2005, che ha avuto grande successo anche in ambienti non religiosi. Ha fatto pensare a come stiamo vivendo la nostra vita. Per i monaci, ovviamente, il silenzio ha un grande valore e occupa un posto privilegiato. Ma anche noi, che percorriamo le strade delle noiose città, o nella quiete della campagna, ne abbiamo tanto bisogno, perché siamo umani e non vogliamo smarrire il nostro essere tali. Abbiamo bisogno, di tanto in tanto, di infangarci i piedi nei nostri pantani per risalire sentendoci veramente felici di essere chi siamo, per avere incontri più profondi, per camminare accanto agli altri condividendo, con chi teme il buio, la Luce che abbiamo incontrato. Il silenzio non è un vuoto, è uno spazio abitato da Dio e da noi. Solo dobbiamo imparare a gustarlo e a rimanere lì.

 

Sr. Sandra Garay MC (Missionarie della Consolata)

 

Arvaikheer, Mongolia

 

 

Questo calendario è pensato per essere un piccolo aiuto ad affacciarsi con rispetto alla fede dell'altro, attraverso le feste che ne scandiscono i ritmi e gli eventi.
Un invito quindi ad accogliere la preghiera dell'altro, così come Dio accoglie le preghiere che salgono a Lui da ogni angolo della terra.

Il tema che scandirà i mesi del 2023 sarà quello dell’ Umiltà.

 

 

 

 

 

Se volessimo incarnare l’umiltà in una figura biblica non potremmo non parlare di colui che è il padre della fede per ebrei, cristiani e musulmani: Abramo.

Abramo, infatti, è l’umile, il povero per eccellenza della Scrittura: egli si apre a Dio grazie alla sua povertà - la sterilità del suo matrimonio, la sua vita precaria di nomade e di anziano - ed è sempre grazie a questa povertà che risponderà a Dio, il quale lo renderà capostipite, padre di una moltitudine.

 

All’inizio della sua storia, è la povertà che mette Abramo in cammino, alla sequela di una promessa assurda – «Vàttene dal tuo paese, dalla tua patria e dalla casa di tuo padre, verso il paese che io ti indicherò. Farò di te un grande popolo e ti benedirò, renderò grande il tuo nome e diventerai una benedizione» (Gn 12, 1-2) – una promessa, per lui già avanti negli anni e senza discendenti, umanamente impossibile.

 

E quando la voglia di stanzialità sembra ad Abramo una prospettiva più allettante – «Venne una carestia nel paese e Abram scese in Egitto per soggiornarvi, perché la carestia gravava sul paese» (Gn 12, 10) – e quando il dubbio fa irruzione in lui – «Sarai disse ad Abram: “Ecco, il Signore mi ha impedito di aver prole; unisciti alla mia schiava: forse da lei potrò avere figli”. Abram ascoltò la voce di Sarai.» (Gn 16, 2) – Dio interviene nuovamente perché Abramo non perda il suo status di povero.

 

Infine, l’ultima, assurda proposta con la quale Dio rimette in gioco la vita di Abramo è la richiesta del figlio della promessa: «Dopo queste cose, Dio mise alla prova Abramo e gli disse: “Abramo, Abramo!”. Rispose: “Eccomi!”. Riprese: “Prendi tuo figlio, il tuo unico figlio che ami, Isacco, và nel territorio di Moria e offrilo in olocausto su di un monte che io ti indicherò”» (Gn 22, 1-3).

E Abramo nuovamente si piega alla voce di Dio, non ritenendola assurda.

 

Di fatto, con quella richiesta, il Signore impedisce ad Abramo di fermarsi, di pensare che la sua missione sia finita; Isacco, infatti, sarebbe potuto diventare la sua ricchezza, il suo luogo certo, la fine del suo pellegrinaggio…

 

Oggi noi cristiani possiamo guardare a quella richiesta con una luce nuova, quella di Cristo: l’umile, il povero, Colui il quale continua a proclamare beati i poveri, beati i pellegrini che non si fermano finché non giungono al regno dei cieli, beati coloro che non possiedono qui una città stabile ma guardano al cielo come meta.

 

Possiamo quindi concludere che la povertà, l’umiltà è l’unica condizione per permettere l’ingresso di Dio nella nostra vita e per metterci alla sua sequela, per sottomettere la nostra vita alla paternità e alla provvidenza di Dio. E alla sua sapienza.

 

Abbiamo così anche toccato il tema della “sottomissione” a Dio, tema così caro all’altra grande fede abramitica, l’Islam, che prende nome proprio da questo concetto: Islam, infatti, significa “sottomissione [a Dio]”. Potremmo banalmente leggere la parola “sottomissione” nella sua accezione negativa, ma sottomissione si può intendere anche come volontà di mettere la nostra debole vita sotto lo sguardo e l’amore di Dio.

Ma lo potremo fare se consapevoli della nostra povertà.

Non c’è dunque fede senza umiltà: solo i poveri seguono Dio e si fanno rimettere in gioco da Lui.

 

don Fabio Fasciani,

 

parroco dei santi Fabiano e Venanzio (Roma)

 

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