Dal sito di Fulvio Scaglione, giornalista vice-direttore di Famiglia Cristiana
 

“MOSUL: COSI’ HANNO TRADITO I CRISTIANI”

26 agosto 2014
 

 

cristiani iraq

 

“Sì, ci sono stati gesti di solidarietà da parte di musulmani verso i cristiani perseguitati. Anche a Mosul: quando siamo stati cacciati, alcuni hanno accompagnato fuori città delle famiglie cristiane che erano state spogliate di tutto. Ma abbiamo un’amarezza grande nel cuore, perché sono stati ancor più numerosi i casi in cui i nostri vicini di casa, le persone con cui vivevamo e spesso dividevamo il pane, sono stati i primi a saccheggiare le nostre case e prendersi le nostre cose”.

 

Da Alqosh, la cittadina del Kurdistan in cui fu parroco, la voce di monsignor Amel Shamoun Nona, 46 anni, arcivescovo cattolico caldeo di Mosul, arriva con una vago tremolìo. Ma è la linea, non il suo tono, che resta invece sereno e deciso. Come ci si poteva aspettare da un vescovo che arrivò a Mosul, centro con 1.200 famiglie di cristiani, nel 2010 dopo che il suo predecessore era stato rapito e assassinato e subito dovette affrontare una serie di omicidi contro i cristiani. Il primo a essere ucciso fu il padre di una ragazzo che in quel momento stava pregando in chiesa proprio con lui. E che proprio in quel momento decise di condensare il motto del proprio episcopato in una sola parola: speranza.

 

I cristiani in fuga

 

“In questi giorni”, racconta monsignor Nona, “il mio primo impegno è girare per tutti i villaggi del Kurdistan dove si sono raccolti i cristiani in fuga proprio per far sapere loro che non sono soli, che non devono perdere la speranza. Cerco di capire i bisogni e, naturalmente, di distribuire gli aiuti che ci sono arrivati dal Vaticano e da altre organizzazioni internazionali”.

 

Quali sono le necessità più impellenti di queste persone?

 

“E’ impossibile fare una classifica dei bisogni. Sono migliaia e migliaia di uomini, donne e bambini ai quali è stato tolto tutto, persino gli anelli di matrimonio o le medicine indispensabili per la salute che cercavano di portare con sé. Qualunque cosa venga in mente, a loro manca: dall’acqua per bere e lavarsi al cibo alle coperte per dormire. Tutto”.

 

C’è solidarietà tra le diverse chiese del Paese?

 

“Per fortuna sì, moltissima. Questa è una zona di presenza caldea e tutte le diocesi si sono mobilitate per dare rifugio e assistenza ai profughi, cristiani e non. E’ uno sforzo collettivo ammirevole, che procede senza sosta da quando è partita l’emergenza”.

 

Per quanto stano facendo i miliziani dell’Isis, Lei non ha esitato a parlare di “crimine contro l’umanità” e di “pulizia etnico-religiosa”…

 

“Certo. E’ incredibile che nel 2014 possano ancora succedere certe cose, mentre il mondo resta a guardare. Sa qual è la cosa più terribile? Visitare le famiglie dei profughi, essere fermati e, soprattutto da vecchi e bambini, sentirsi chiedere: ma che succede? Perché ci fanno questo? Che cosa abbiamo fatto di male? I giovani perché non riescono a scorgere una prospettiva per il futuro. Gli anziani perché dal 2003 si confrontano con una condizione di pericolo e persecuzione a cui non riescono a sottrarsi. La speranza resiste proprio perché non sono soli, perché ci sono persone che si occupano di loro, che fanno sentir loro che c’è ancora qualcuno che gli vuole bene”.

 

Lei conosce la lettera di papa Francesco a Ban Ki-moon, segretario generale dell’Onu. Pensa che un intervento dell’Onu sarebbe utile in questa situazione?

 

“Certamente sì. Anzi: è importante che questo intervento avvenga e avvenga presto. La lettera del Papa ci dà energia e speranza, ovviamente, ma noi vorremmo che tutti i cristiani del mondo mostrassero solidarietà con i loro fratelli iracheni, senza sembrare “timidi” nei confronti di questa immane tragedia. Come peraltro auspicato anche dall’appello del nostro Patriarca”.

 

Che dire di quanto succede a Baghdad? L’ex premier Al Maliki sembra essersi fatto da parte, a favore del nuovo premier Haider al Abadi.

 

“La situazione a Baghdad è complicata ma non irreparabile. L’importante, se davvero vogliamo salvare il Paese e dargli un futuro, è che ora tutti collaborino col nuovo premier, dimenticando gli interessi di parte”.

 

In Kurdistan, dove finora i peshmerga hanno resistito al dilagare dall’Isis (Islamic State of Iraq and Syria, lo Stato islamico dell’Iraq e della Siria), c’è preoccupazione?

 

“Ce n’è stata molta fino a qualche giorno fa. La domanda che tutti si facevano, magari nel chiuso del proprio cuore, era: riusciremo a resistere? La fiducia ha cominciato a crescere quando sono partiti i primi bombardamenti americani”.

 

Che notizie ha di Mosul, la sua arcidiocesi? Nessun cristiano è rimasto? Che cosa succede alla città?

 

“Mosul, purtroppo, è stata “ripulita” da tutti i cristiani, sono scappati tutti. Le notizie che arrivano dicono che la città è al collasso, le attività sono quasi tutte bloccate. Le proprietà dei cristiani sono state requisite, i luoghi di culto e le strutture della Chiesa cattolica abbattute o destinate ad altro uso. Come il mio vescovado…”.

 

Che cosa ne hanno fatto?

 

“E’ diventato il quartier generale delle milizie dell’Isis”.

Carissimi,

anche in questi giorni che ci preparano alla Pasqua del Signore, dal Medio Oriente non cessano di arrivare notizie che ci richiamano alla preghiera e alla ricerca continua di una maggiore vicinanza spirituale con le terre dove il Signore ha voluto incarnarsi e vivere la sua passione.

Come avrete già saputo, il 7 aprile scorso un padre gesuita olandese, Frans Van der Lugt, presente in Siria da quasi cinquanta anni, è stato brutalmente ucciso da uomini armati. "Dove il popolo muore" – ha sottolineato padre Lombardi, direttore della Sala Stampa della Santa Sede  "muoiono con lui anche i suoi fedeli pastori". Anche il Papa lo ha ricordato con profondo dolore e ha invitato tutti noi ad unirci alla sua preghiera per la pace in Siria e nella regione.

Contemporaneamente, giungono anche notizie che ci spingono a sperare o quantomeno ad intravedere uno squarcio di luce nelle tenebre: dopo una lunga preparazione,
il Sinodo pan-ortodosso delle Chiese d'Oriente è stato fissato per il 2016 ad Istanbul ed è stato avviato un calendario scandito da tappe definite e ravvicinate fino al suo svolgimento. Un segnale positivo per il cammino di tutti i cristiani d'Oriente e d'Occidente.
 
Di seguito trovate alcuni articoli tratti da www.asianews.it, www.avvenire.it e www.radiovaticana.va per approfondire questi temi e continuare a pregare insieme.

 




dal sito www.asianews.it

» 07/04/2014 13:04
SIRIA

 

Homs: ucciso p. Frans Van del Lugt, che sfamava cristiani e musulmani
I motivi dell'agguato non sono chiari. Alcune fonti di AsiaNews accennano al fatto che il sacerdote era impegnato nella ricerca di una mediazione fra ribelli e l'esercito che salvasse la popolazione locale, segnata da fame e continui bombardamenti.

Damasco (AsiaNews) - Stamane a Homs, nella parte della città occupata dai ribelli e assediata dall'esercito regolare siriano, è stato ucciso il sacerdote gesuita p. Frans Van der Lugt (v. foto), 75 anni di cui circa 50 passati in Siria.
Un comunicato della Curia provinciale gesuita del Medio oriente e Maghreb dà notizia che il sacerdote "è stato rapito da uomini armati che lo hanno picchiato e poi giustiziato con due proiettili alla testa" davanti alla residenza gesuita a Homs.
Questa residenza era diventata il rifugio per molte persone la cui casa era stata distrutta dai bombardamenti incessanti in questi due anni di assedio, e un luogo dove condivider e il poco cibo e acqua rimasti nella città.
In febbraio AsiaNews aveva diffuso il suo appello sulla situazione della popolazione di Homs, segnata dalla fame, da turbe psichiche dovute ai bombardamenti e all'insicurezza, dalla mancanza di medicine.
Il sacerdote informava anche che di tutta la comunità cristiana una volta presente ad Homs - circa 60mila persone - ne erano rimaste solo 66.
P. Van del Lugt non ha mai voluto lasciare Homs. In un'intervista alcuni mesi fa aveva detto: "Il popolo siriano mi ha dato così tanto, così tanta gentilezza, ispirazione e ogni cosa che essi hanno. Se adesso il popolo siriano soffre, io voglio condividere con loro il dolore e le difficoltà".
I motivi dell'agguato non sono chiari. Alcune fonti di AsiaNews accennano al fatto che il sacerdote era impegnato nella ricerca di una mediazione fra ribelli e l'esercito che salvasse la popolazione di Homs.
Il sacerdote gesuita era giunto in Siria nel 1966, dopo aver passato due anni in Libano a studiare la lingua araba. P. Frans Van der Lugt era rimasto ad Homs anche dopo che grazie all'Onu, 1400 persone hanno potuto uscire dalla città, facendo entrare pure viveri ed acqua.
Alcuni giorni prima di questa tregua, il sacerdote aveva diffuso un video in cui raccontava la drammatica situazione della popolazione di Homs.
"Cristiani e musulmani - dice nel messaggio video - viviamo in condizioni difficili e dolorose, e soffriamo soprattutto per la fame". "Noi amiamo la vita - continua - e non vogliamo morire o annegare in un oceano di morte e sofferenze". Un cartello giallo al suo fianco riporta: "morire di fame è più doloroso che morire di armi chimiche".

 

 


 

 

dal sito www.radiovaticana.va

notizia del 2014-04-07 14:04:38

 
 

Siria, ucciso padre gesuita a Homs. Padre Lombardi: dove il popolo muore, muoiono anche i pastori

Nella città siriana di Homs è stato ucciso oggi da uomini armati un religioso gesuita olandese: si tratta di padre Frans Van der Lugt, 75 anni, giunto nel Paese nel 1966 e molto apprezzato per il suo lavoro. Il religioso, che risiedeva in una delle zone assediate più a rischio, aveva rifiutato di lasciare il quartiere quando c'era stata l'evacuazione dei civili, per essere accanto alla popolazione locale. Il direttore della Sala Stampa vaticana, padre Federico Lombardi, ha detto che “muore così un uomo di pace, che con grande coraggio ha voluto rimanere fedele in una situazione estremamente rischiosa e difficile a quel popolo siriano a cui aveva dedicato da lungo tempo la sua vita e il suo servizio spirituale. Dove il popolo muore – sottolinea padre Lombardi - muoiono con lui anche i suoi fedeli pastori. In questo momento di grande dolore, esprimiamo la nostra partecipazione nella preghiera, ma anche grande gratitudine e fierezza per avere avuto un confratello così vicino ai più sofferenti nella testimonianza dell'amore di Gesù fino alla fine”. L’uccisione di padre Franz è stata una vera e propria esecuzione. Ascoltiamo la testimonianza di un suo confratello, padre Ziad Hillal, raggiunto telefonicamente ad Homs da Manuella Affejee:

R. - Le père Franz a été abattu …
Il padre Franz è stato ucciso nel giardino del nostro convento: gli hanno sparato alla testa. E’ stato un atto premeditato. Lui era mio superiore nella comunità gesuita. E’ un dramma! Sono veramente sconvolto: è stato assassinato un uomo di pace, come il padre Franz, che non ha mai attaccato nessuno, né verbalmente né in altro modo, che ha sempre parlato di pace e di riconciliazione, auspicando sempre un futuro migliore per la Siria e per i siriani…. E poi averlo trovato ucciso in questo modo! Quello che io posso dire è che il padre Franz ha sempre voluto essere accanto al suo prossimo: è stato il buon pastore che non ha mai voluto lasciare la sua gente. Ha dato la sua vita e non soltanto per i cristiani che sono lì, ma anche per i musulmani, per tutti i siriani. E’ un grande esempio per tutti. Erano circa due anni che viveva ad Homs, sotto assedio, e non ha mai, mai parlato di cose negative. Era sempre sorridente ed era lui a chiedere a noi come stavamo. E’ un grande esempio per me, per i gesuiti qui in Siria e per tutti quei siriani che vogliono che la pace regni in questo Paese.

 



dal sito www.avvenire.it

9 aprile 2014
 
Idee
 
Dopo dodici secoli il primo sinodo delle Chiese d’Oriente
 
Definire "storica" la decisione assunta a Istanbul il mese scorso dai patriarchi e arcivescovi delle chiese ortodosse autocefale non è enfasi retorica: dal secondo concilio di Nicea (787 d.C.) sono passati più di dodici secoli senza che le varie chiese d’oriente si ritrovassero in concilio per riflettere e deliberare insieme su come declinare nel mondo contemporaneo l’annuncio e la testimonianza rese all’eterno Vangelo di Gesù Cristo. Non solo, ma è dagli inizi degli anni sessanta del secolo scorso che, su sollecitazione dell’allora patriarca ecumenico Athenagoras I, si sono avviati dei lavori "preparatori" in vista di quel Sinodo pan-ortodosso che solo ora ha finalmente una data (l’anno 2016) e un luogo (Costantinopoli - Istanbul) di celebrazione e un cammino di preparazione immediata scandito da tappe definite e ravvicinate.

Negli ultimi cinquant’anni molte cose sono cambiate nella società, anche in quelle nazioni in cui storicamente la fede cristiana era vissuta, celebrata e trasmessa secondo la grande tradizione orientale: il crollo del comunismo e la ritrovata libertà di confessare la propria appartenenza a Cristo e alla chiesa, ma anche il dilatarsi del fenomeno migratorio. E alcuni di questi cambiamenti hanno accentuato anche novità in ambito ecclesiale: il confronto con altre confessioni cristiane, la ricaduta universale del cammino intrapreso dalla chiesa cattolica con il Concilio, la fine della cristianità con il conseguente cambio di modalità di rapporto con la società civile, l’incontro quotidiano con credenti di altre religioni, con forme non comunitarie di religiosità, con una secolarizzazione sempre più diffusa...

Le chiese ortodosse, non avendo un centro unitario di autorità come la Chiesa di Roma con il Papa, hanno dovuto faticare per trovare un accordo sinfonico: si è perfino temuto che - visto il sorgere di nuove tensioni o il riacutizzarsi di antiche divergenze - il sinodo dovesse conoscere perenni rinvii se non addirittura di veder cancellata la sua stessa celebrazione. Inoltre le chiese cristiane - e molte di quelle ortodosse in particolare - conoscono una stagione di debolezza, di minoranza all’interno degli stati e delle società in cui vivono: basti pensare alla situazione drammatica dei cristiani in Medio Oriente. Ma, paradossalmente, proprio questa debolezza ha contribuito al "miracolo" dell’annuncio del Sinodo del 2016: i cristiani sentono che hanno bisogno di ritrovare unità, di intensificare la comunione senza la quale il futuro della loro presenza in certe aree del globo diventa precaria.

Ho avuto il dono di seguire in modo particolare e attento il faticoso itinerario di questo progetto sinodale, ho conosciuto da vicino l’ansia pastorale e la sollecitudine per le chiese che anima Bartholomeos I: in modo convinto ha faticato perché il sinodo fosse celebrato nonostante tutte le difficoltà, anche inattese, sopravvenute. Ero suo ospite quando fu raggiunto dalla notizia che il governo avrebbe permesso che la prima sessione sinodale si tenesse nella più antica chiesa di Costantinopoli - la chiesa di Santa Irene, la "Santa Pace" - là dove nel 381 si tenne il I concilio di Costantinopoli, il II ecumenico: il patriarca era radioso, commosso e insieme ringraziammo il Signore.


È allora lecito aspettarsi segnali di speranza sia da questi due anni di preparazione finale, sia dall’assise che si terrà sotto la presidenza del patriarca ecumenico. Innanzitutto un processo di conferma della fede e al contempo di rinnovamento delle modalità in cui testimoniarla in questo mondo secolarizzato in cui i cristiani sono diventati una minoranza. Uno sforzo per certi versi analogo a quello compiuto dalla chiesa cattolica con il Concilio Vaticano II ma che, naturalmente, potrà maggiormente tener conto di fenomeni culturali e sociologici emersi con maggior intensità in questi ultimi cinquant’anni: si pensi, per esempio, alla tematica ecologica sulla quale da tempo il patriarcato ecumenico è impegnato, agli effetti della globalizzazione e della interconnessione di problematiche come l’emigrazione o la giustizia sociale.

Una seconda sfida sarà di trovare vie di comunione: nella ricchissima sinfonia dell’autonomia delle chiese: tutte ugualitarie e ciascuna radunata attorno a un patriarca con il proprio sinodo, le chiese ortodosse hanno bisogno di trovare vie di comunione al di là dei confini nazionali o regionali. Non si tratta di rinunciare a una feconda valorizzazione di elementi e tradizioni "locali", né di costituire una sorta di "federazione" con tanto di delegati, portavoce o rappresentanti unitari, ma piuttosto di vivere nel concreto la concordia tra locale e universale, tra l’uno e i molti, tra attenzione e rispetto per il particolare e capacità di "pensare in grande" e di respirare a pieni polmoni.
In questo il sinodo potrebbe rivelarsi - come è stato il Vaticano II - un evento benedetto anche per le altre chiese, a cominciare dalla cattolica. Se l’ortodossia, ha sempre affermato la sinodalità, in Occidente abbiamo affermato soprattutto il primato. Un sinodo pan-ortodosso, presieduto dal primus inter pares, potrebbe favorire in ambito cattolico la riflessione sul fatto che il primato patisce a essere esercitato senza sinodalità e, in ambito ortodosso, la consapevolezza che una sinodalità senza un primus che animi la comunione e svolga concretamente il ministero dell’unità rischia la paralisi. Certo, il cammino resta difficile, soggetto a tratti tortuosi e a tentazioni ricorrenti: si pensi che già gli apostoli discutevano su «chi tra di loro fosse il primo»...


Resta tuttavia la convinzione che la fissazione della data del sinodo pan-ortodosso sia un ulteriore segnale della nuova primavera ecclesiale che stiamo vivendo. La mia generazione ha vissuto quella degli inizi degli anni sessanta con il concilio e papa Giovanni, ma ha anche sperimentato che nella storia sovente queste primavere sono interrotte da gelate repentine. Oggi qualcosa di nuovo eppure di antico sta sbocciando: la freschezza del Vangelo. I nostri fratelli e sorelle in umanità guardano di nuovo a Gesù Cristo e alle chiese che lo annunciano e lo testimoniano perché avvertono un bisogno di senso, perché la loro vita anela a essere salvata, perché attendono di fare esperienza di parole e gesti di misericordia.

Davvero viviamo un tempo favorevole per la chiesa e per il Vangelo. Del resto, sempre la chiesa vive una stagione favorevole quando accetta di ritornare al suo Signore, quando rinuncia a piegarsi su se stessa, quando non si indurisce nella difesa di privilegi, quando si trova a essere povera, in minoranza, e assume questa debolezza come sequela di Cristo povero e nudo. Forse proprio questa condizione di povertà e di servizio costituisce la grande opportunità di annuncio credibile del Vangelo.
 
Enzo Bianchi

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