Dal sito www.avvenire.it - 15 marzo 2014
Il convento di Saydnaya, a nord di Damasco (ap)

Sono ormai tre anni. Tre anni lunghi, duri, che equivalgono a dieci o quindici, per la morte e la distruzione che hanno causato. Tre anni che non segnano la fine, ma solo, purtroppo, un anniversario, una tappa. Il cammino del popolo siriano verso la pace è ancora lungo. Eppure, la stessa durata di questo conflitto, per assurdo che possa sembrare, sta diventando un’opportunità di vita. Quando le cose accadono in fretta, in tempi brevi, non abbiamo molta occasione di riflettere. Un attimo, e sono già storia. Viene già un’altra guerra, uno scandalo, uno tsunami.. Per ciò che è successo, accettiamo le spiegazioni di chi ha il potere di darle, un altro tassello si aggiunge alla nostra visione delle cose, un altro luogo comune.
Questa volta però non ha funzionato: col tempo, notizie, immagini, voci contrastanti sono ormai dilagate. E finalmente i nostri giudizi sono un po’ più consapevoli, un po’ più cauti. E se mai in tutto questo c’è una primavera, allora è adesso: dopo tanta morte, la vita urge, preme, e tanti siriani cominciano a dire " basta". Non così vogliamo fiorire: non nutrendoci del sangue dei nostri fratelli. Non così vogliamo essere liberi: non calpestando i corpi di chi ieri ci viveva accanto. Non così vogliamo costruire il nostro futuro: non sulle macerie della nostra cultura e della nostra storia. Non così vogliamo crescere i nostri figli: non mettendo loro un fucile in mano e l’odio nel cuore.
«Ecco, sto facendo una cosa nuova: proprio ora germoglia, non ve ne accorgete?». Questa vicenda, in cui Dio ci ha messe a percorrere il nostro cammino monastico, ci sta insegnando tanto. E ci interroga. È come se, almeno apparentemente, negli eventi la storia si svolgesse a due livelli. C’è il desiderio sincero, da parte della "gente" (o almeno di alcuni), di libertà, di verità, di uguaglianza, di bellezza... Cose per cui magari ci si infiamma, si scende in piazza, si rischia la vita, o almeno il cuore. E poi c’è il livello di chi tiene i fili. Non solo manipola, ma prevede, suscita, strumentalizza le nostre pur vere passioni, i nostri ideali sinceri e le nostre reazioni. Siria? Forse anche Iraq, Libia, e Africa e ora Ucraina…e forse anche Venezuela... e cos’altro?
Dov’è finita Ginevra 2? Non se ne parla più. L’affare è stato spostato... La "rete globale" che avvolge il nostro mondo e la nostra mente è una gran bella cosa, ma è pur sempre una rete, e se le sue maglie si infittiscono, ci fa correre solo in orizzontale, schiacciandoci sulla superficie della Terra. Ed è uno strumento potente per influenzare il nostro giudizio, la nostra libertà.
Ma allora, a noi cosa resta? Che cosa possiamo davvero vivere con verità? Come possiamo difendere e rendere feconda la nostra libertà?
Accorgendoci che c’è un’altra storia, una Storia vera... Che si rinnova ogni anno da duemila anni, potente, salvifica. Sempre di primavera. Anche duemila anni fa le giornate si stavano allungando, il sole si faceva più caldo, i campi più verdi. Si preparavano giorni di festa. E un Uomo si lasciava tradire, consegnare, uccidere, per la salvezza di molti. Oggi ancora, di nuovo. Che razza di soluzione è? Cosa c’entra con la nostra libertà, col nostro impegno nel mondo ? A questo ognuno deve dare la sua risposta, nessuno può farlo per un altro. Sapendo però che si tratta di una Pasqua, un passaggio.
In questi giorni, come ogni anno, passa nei nostri cieli un grande stormo (forse aironi?) in migrazione. Qualcuno fa punta, in formazione, e fa breccia nell’aria... Altri dietro fanno ala, ingrossano le file, si disperdono, si raggruppano di nuovo. Una marea in volo, che passa vociando da una regione all’altra della Terra per salvaguardare la vita. L’uomo deve migrare in altro modo, il viaggio è interiore, dal freddo dell’inverno al calore del bene cercato insieme. È questa la nostra primavera. Siamo popolazioni "stanziali" nella perseveranza, ma anche pellegrini nella storia, in transumanza verso pascoli ci che sazino davvero, insieme. E – ops! – ci si accorge che la speranza è qualcosa di reale , di concreto... I pascoli in cui nutrirsi sono già qui, fuori casa: è il fratello, diverso da te, da riscegliere, da perdonare, con cui lavorare insieme.
Certo è, e resta sempre, una libera scelta. In questo momento, c’è anche chi continua a uccidere, con crudeltà. C’è chi ruba, incurante del fatto che accanto a lui c’è il cadavere di un amico che magari avrebbe potuto salvare. Episodi atroci. Uomini e donne che si odiano, e provano il piacere della vendetta e della violenza. Ma ci sono tanti – tanti – che aprono gli occhi, che ricostruiscono insieme, che scelgono il bene, la vita, il perdono.
Qualche giorno fa, dopo la ripresa dei voli di civili tra l’aeroporto di Damasco e quello di Aleppo, uno dei piloti, intervistato, diceva: «Vorrei dire a tutti i terroristi, a tutti coloro che usano la violenza, che la cultura della vita è più forte della cultura della morte». E così sia.

La Stampa 2014-03-10

 

Sono tornate a Damasco le tredici suore ortodosse liberate ieri alla frontiera siro-libanese, dopo tre mesi di prigionia. Le religiose erano state prelevate agli inizi dello scorso dicembre nel convento di Santa Tecla a Maalula, villaggio a maggioranza cristiana a nord della capitale siriana. Servizio diFrancesca Sabatinelli:

Ha generato molto sollievo, e con questo anche speranze, la liberazione delle 13 suore ortodosse di Maalula, che per tre mesi sono rimaste nelle mani degli uomini della Jabhat an Nusra, gruppo di ribelli affiliato ad al-Qaida. “Non ci hanno fatto mancare nulla”: hanno assicurato le religiose parlando dei loro rapitori, precisando di essere state trattate bene e smentendo che i miliziani avessero rimosso le croci dai loro abiti. Come contropartita per la liberazione delle suore, e di tre loro assistenti, sono state rilasciate oltre 150 siriane detenute nelle carceri di Damasco. In questi mesi, delle suore erano stati diffusi due video che avevano indotto a credere che si sarebbe arrivati a una felice conclusione del rapimento. L'arcivescovo Mario Zenari, nunzio apostolico in Siria:

R. - È stato un sollievo e una soddisfazione generale, una schiarita in questo periodo così nuvoloso che non lascia ancora intravedere la luce dell’uscita da questo tunnel. È stata una notizia che ci aspettavamo, pregavamo per la liberazione di queste religiose che erano tenute in ostaggio dall’inizio di dicembre. Attualmente, le religiose si trovano a Damasco. Questa sera ci sarà un incontro di preghiera (nella chiesa greco-ortodossa della Santa Croce, Damasco - ndr) per rendere grazie al Signore per questo esito felice.

D. - Al sollievo per la liberazione delle suore si alterna ovviamente il pensiero che va a tutte le altre persone ancora nelle mani dei sequestratori…

R. - Speriamo che questa bella notizia, che ha portato una soddisfazione generale, possa aprire la porta anche per la liberazione dei due vescovi ortodossi - dei quali fra poche settimane ricorrerà un anno da quando sono stati presi in ostaggio - e che possa aprire anche la porta alla liberazione dei tre preti, tra cui Paolo Dall’Oglio, gesuita, e anche dei tanti altri sequestrati, sia siriani che stranieri.

D. - Fanno sperare le dichiarazioni delle suore che hanno sottolineato di essere state sempre trattate con attenzione da parte dei rapitori?

R. - Sì, questo si sapeva. Il caso di queste religiose ortodosse è un po’ diverso dagli altri: già dall’inizio era possibile avere comunicazioni, si sapeva dov’erano, in una casa messa a disposizione da un cristiano: c’era quindi questo collegamento. Naturalmente, c’era sempre un po’ di ansia, aumentata in queste ultime settimane perché quella zona, la cittadina di Yabroud, ultimamente era diventata teatro di aspri combattimenti tra l’esercito siriano e questi gruppi di ribelli. Si temeva per la loro incolumità, ma grazie a Dio ieri è arrivata questa bella notizia e così sono state liberate.

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