Quest’anno ricorre il 20° anniversario dell’uccisione di don Andrea Santoro. Sono passati venti anni in cui sono accadute molte cose.

Siamo stati testimoni di tanta Grazia, ma anche di difficoltà e sofferenze, soprattutto in questi ultimi tempi.

Per questo abbiamo deciso di riproporre la prima introduzione che don Andrea scrisse nel 2002 per il calendario sinottico (che pensò e volle fortemente fin dal primo anno della sua partenza, anche se l’edizione del 2001 non aveva il testo introduttivo).

Ripartiamo dunque da questo suo primo testo, per continuare a camminare sulla strada da lui tracciata, perché ciascuno di noi (nel proprio piccolo) possa contribuire a far sì che «gli uomini aprano finestre l’uno sull’altro per affacciarsi, guardare e proseguire con cuore libero e pacificato la ricerca della luce, fino al giorno in cui il calendario terreno si fermerà ed entreremo nel calendario eterno della festa di Dio.»

Giulia Pezone – Finestra per il Medio Oriente

 Un calendario è un viaggio lungo un anno e con questo calendario vogliamo favorire un viaggio “spirituale” nel cuore di popoli lontani.

Mi verrebbe da dire, come Dio a Mosè: «togliti i sandali, perché la terra su cui stai è terra santa».

È un viaggio quindi da fare con umiltà e rispetto, con semplicità e stupore, con discrezione e attenzione: un pellegrinaggio vero e proprio. Ogni popolo è una terra di Dio.

Lo scopo di questo calendario non è di appagare una semplice “curiosità intellettuale” (sapere cosa festeggiano gli altri) ma di favorire le “ragioni del cuore”: cioè la conoscenza, la stima, l’amore per quanto si muove nei vari e vasti mondi religiosi dell’area geografica mediorientale.

“Com-prendere” vuol dire “prendere con tutta l’anima”, che non significa condividere o mescolare tutto in un insieme indistinto. Vuol dire raccogliere, esaminare, scoprire, imparare. Solo così si può offrire ciò che è proprio perché l’altro, a sua volta, accolga, capisca, scopra, impari. È uno scambio di doni per una ricerca più profonda e più libera della verità.

Dio, come diceva san Paolo, non è lontano da ciascuno di noi: in lui viviamo, ci muoviamo ed esistiamo.

Un calendario è come un viaggio in Dio, nel quale un popolo vive, si muove, esiste, festeggia.

Dio è infinitamente di più: ma le sue briciole vanno raccolte. Hanno un sapore di lui, anche se portano tracce dell’umana fragilità e del procedere oscuro del cuore umano.

Soprattutto in Medio Oriente questo è importante: lì dove Dio si è rivelato aprendo la sua porta sull’uomo, è importante che gli uomini aprano finestre l’uno sull’altro per affacciarsi, guardare e proseguire con cuore libero e pacificato la ricerca della luce, fino al giorno in cui il calendario terreno si fermerà ed entreremo nel calendario eterno della festa di Dio.

Don Andrea Santoro,

Introduzione al Calendario sinottico Finestra per il Medio Oriente 2002

 Inoltre nel 2003 don Andrea decise di inserire per la prima volta, per ogni mese del Calendario sinottico, dei brani di autori mediorientali, di cui riportiamo quest’anno una selezione; ecco la breve nota introduttiva che scrisse.

 In ogni mese del Calendario sono riportati piccoli brani di tre autori spirituali del Medio Oriente:

Hillel per l’ebraismo, Isacco di Ninive per l’Oriente cristiano, Yunus Emre per l’islamismo.

Riportiamo per ognuno di essi poche essenziali notizie.

 Hillel, nato in Mesopotamia verso il 70 avanti Cristo e morto a Gerusalemme verso il 10 dopo Cristo, è fondatore di una scuola di pensiero e di spiritualità di grande importanza nella formazione del Talmud, cioè la raccolta di leggi, di commenti e di riflessioni sulla Torah, la legge data da Dio a Mosè.

 Isacco di Ninive, anche lui della Mesopotamia, è un autore spirituale siro del VII secolo. Visse prima da monaco, poi fu eletto vescovo di Ninive. Dopo pochi mesi tornò alla vita monastica ed eremitica, divenendo maestro nella vita cristiana e nella ricerca, come lui la chiamava, dell’“ebbrezza di Dio”.

 Yunus Emre è nato e vissuto in Turchia nel XIII secolo. Le sue poesie sono tutte pervase da un profondo amore per Dio. I suoi versi continuano ad ispirare folle di innamorati di Dio nell’Islam.

 L’accostamento di questi autori non vuole essere un “minestrone” per affogare le diversità e costruire forzosamente un’unità che viene solo da Dio. Vuole essere un atto di “meraviglia” di come Dio si ricavi un posto nel cuore dei suoi figli e una constatazione che, come diceva S. Pietro, «chi lo teme e pratica la giustizia, a qualunque popolo appartenga, è a lui accetto». E aggiungeva, a chi lo rimproverava: «se lo Spinto Santo è sceso in loro come era sceso in noi, chi sono io per porre impedimento a Dio?» (Atti degli apostoli 10, 35 e 11, 17).

Don Andrea Santoro,

Calendario sinottico Finestra per il Medio Oriente 2003

Questo Calendario è pensato per essere un piccolo aiuto ad affacciarsi con rispetto alla fede dell'altro , attraverso le feste che ne scandiscono i ritmi e gli eventi.

Un invito quindi ad accogliere la preghiera dell'altro, così come Dio accoglie le preghiere che salgono a Lui da ogni parte della terra.

Il tema che scandirà i mesi del  2025  sarà Testimoni di Speranza.

 

 

 

 

 

Testimoni di SPERANZA

 

La «speranza», una delle virtù teologali (insieme con la fede e la carità), è davvero la sorella minore delle tre. Non raramente è relegata in un angolo della riflessione e della pratica della vita cristiana e se ne parla quasi estraendo l’ultima cartuccia che possa far fronte all’ineludibile forza della morte. Ne consegue che nel linguaggio comune dei credenti – praticanti o meno – l’appello alla speranza ha il sapore di un’ultima spiaggia, possibilmente da evitare nei giorni operosi e sereni, cioè nei giorni che tutti desiderano. La speranza può ridursi a questo? Una piccola riflessione sul termine non manca di fascino.

 In latino speratus è il fidanzato e sperata è la fidanzata, cioè coloro che guardano al futuro con fiducia, anzi lo costruiscono con passione e lo percepiscono, alla vigilia delle nozze, gravido di promesse. Sicché la speranza non è una questione di ultima spiaggia, ma di prospettiva per la vita nella sua pienezza.

Se andiamo poi all’ebraico, la lingua nella quale è scritto l’Antico Testamento, il verbo «sperare» rimanda alla radice qawah, termine che significa “corda”. Sperare vuol dire essere tesi come una corda. Ma una corda per essere tesa deve essere tirata da due parti, quindi sperare vuol dire essere in tensione tra due punti fermi, uno a cui ci si aggancia e l’altro che tira: Dio e l’uomo.

            L’invocazione che chiude l’Apocalisse, quindi l’intero Nuovo Testamento e l’intera Bibbia, recita: «Vieni, Signore Gesù» (Ap 22,20). Questa invocazione designa perfettamente l’idea cristiana di speranza. Si invoca il ritorno di colui che è già venuto. La speranza cristiana, dunque, non è caratterizzata dall’incertezza propria di ogni umano e naturale sperare: essa è attesa. Quest’idea è perfettamente conforme al verbo ebraico qawah, cioè all’immagine della corda. La speranza nella concezione ebraico-cristiana non fiorisce unicamente dal desiderio, ma corrisponde all’essere legati per mezzo di una robusta corda, ad un “Altro” da sé. Per questo nel cristianesimo la speranza diventa pratica di vita nella forma ad essa più propria, che è quella della perseveranza. Questo è detto a chiare lettere da Paolo: «Nella speranza siamo stati salvati»; poi aggiunge: «Se speriamo quello che non vediamo, lo attendiamo con perseveranza» (Rm 8,24-25). La speranza si realizza dunque come esercizio e pratica della carità: «Non siate pigri nel fare il bene, siate invece ferventi nello spirito; servite il Signore. Siate lieti nella speranza, costanti nella tribolazione, perseveranti nella preghiera.

Condividete le necessità dei santi; siate premurosi nell’ospitalità» (Rm 12,11-13).

Dalle parole di Paolo risulta evidente come la speranza cristiana sia radicata fondamentalmente nella fede. La speranza, dunque, da un lato presuppone la fede, dall’altro la manifesta. Essa poi si esplica praticamente nella forma della perseveranza. È la speranza delle vergini sagge che non dubitano minimamente che il Signore verrà, solamente non sanno quando. Esse si tengono pronte, preparate a ogni momento (cfr. Mt 25,1-12).

Nel cristianesimo sperare vuol dire durare: essere fedeli fino alla fine, ma soprattutto fedeli in ogni momento del tempo, certi dell’esito. Lo esprime con icastica chiarezza Efrem il Siro, ammonendo ogni credente: «Poiché non conosce l’ora / si fa vigilante ad ogni ora».

Spesso però la nostra speranza non è così marmorea. Essa conosce dubbi, fatiche, sacche di vuoto e per questo diventa voce che invoca e si affida, chiedendo la grazia di non lasciarsi scoraggiare.

Nel tempo dell’attesa occorre attingere alla Sacra Scrittura per tenere desta la speranza (cfr. Rm 15,14); le Scritture chiedono umiltà e perseveranza, ma aprono un varco sul mistero stesso di Dio. Ed è proprio questo legame che dona all’uomo la grazia di non vedere i suoi giorni sfilacciarsi, ma sostenuti e tesi verso quell’amore che nulla, nemmeno la morte, potrà spezzare.

 

don Matteo Crimella

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