La preghiera di lode
Che cosa significa pregare i Salmi? Un celebre versetto del Salmo 61 afferma: «Possa abitare per sempre nella tua tenda, rifugiarmi nel nascondiglio delle tue ali» (v. 5). L’immagine delle “ali” indica la protezione: rifugiarsi nel nascondiglio delle ali è porsi sotto la protezione di Dio. L’immagine della “tenda”, invece, indica il tempio del Signore. Dunque l’orante esprime il desiderio di salire al tempio. Tuttavia il Salmo 61 è stato composto in un’epoca nella quale il tempio di Gerusalemme non esisteva più perché Nabucodonosor l’aveva distrutto. Come dunque era possibile salire al tempio e gustare la consolazione di Dio? Ecco l’intuizione dell’orante: attraverso la preghiera dei Salmi si entra nel tempio di Gerusalemme. Il libro del Salterio è la tenda dove Israele può incontrare il Signore in ogni momento. Così i Salmi diventano una specie di “santuario portatile” che in ogni luogo d’esilio permette di salire al tempio di Gerusalemme e sperimentare la protezione di Dio.
I Salmi non sono disposti a caso. Essi iniziano rammentando il mormorio della Legge (Sal 1,2) e si concludono con una solenne lode di Dio. Così si esprime il Salmo finale del Salterio:
1 Alleluia.
Lodate Dio nel suo santuario,
lodatelo nel firmamento della sua forza,
2 lodatelo nelle sue potenze,
lodatelo per la grandezza della sua forza.
3 Lodatelo con suono di corno
lodatelo con arpa e cetra,
4 lodatelo con tamburello e danza,
lodatelo con corde e flauto,
5 lodatelo con cembali sonori,
lodatelo con cembali squillanti.
6 La totalità di ciò che respira lodi Yah.
Alleluia.
Incorniciato dal duplice “Alleluia” iniziale e finale, il testo si divide in due sezioni: la prima parte è tutta dominata da imperativi (vv. 1-5), l’ultimo versetto (v. 6) invece è caratterizzato da un verbo (“lodi”) che manifesta un desiderio, un auspicio, un sogno. Gli imperativi sono diretti, incalzanti, decisi. Sono dieci comandi potenti come le dieci parole creatrici di Dio (Gen 1), come le dieci parole (i comandamenti) affidate a Israele sul monte Sinai (Es 20; Dt 5). Si dice e si ripete (appunto per dieci volte) la necessità di lodare Dio, senza offrire alcuna motivazione. Si evoca uno spazio cultuale (il santuario), uno cosmico (il firmamento) ed uno storico-salvifico (Dio ha operato grandi cose). L’orante volutamente si esprime in modo ambiguo: si può infatti intendere la sua preghiera in senso locale (“Lodate Dio nel suo santuario”, etc.) ma pure in senso causale (“Lodate Dio a causa delsuo santuario”, etc.). Tale indeterminazione favorisce un bell’effetto di universalità: pur situando tutto nel tempio, l’orizzonte del Salmo si dilata e si proietta verso l’alto. La liturgia nel santuario di Gerusalemme diventa liturgia celeste.
Poi però l’accento si sposta dall’oggetto all’atto (v. 3), o meglio, alla strumentazione di cui deve disporre la lode, affidata non alla parola ma all’orchestra. Ci sono sette strumenti musicali, simbolo della totalità dei suoni. In realtà dietro ogni strumento si nasconde una categoria sociale. Il primo strumento è il “corno”, tipico dei sacerdoti (Gs 6,4; Ne 12,35.41; 1 Cr 15,24), usato per indire le grandi feste d’Israele e per proclamare la signoria del Signore (Sal 47,6; 98,6). L’arpa fissa e la cetra (cioè l’arpa portatile) sono rispettivamente gli strumenti dei leviti (Ne 12,27; 1 Cr 15,16; Sal 39,2). Il tamburello è il tipico strumento femminile, utilizzato da Miriam sorella di Mosè (Es 15,20), da Giuditta (Gdt 11,34), dalle donne festanti per la vittoria di Davide (1 Sam 18,6). Il resto del popolo partecipa con strumenti a corda (liuto), a fiato (flauto) e a percussione (cembali). Alla fine, per mezzo di un fortissimo (i cembali sono raddoppiati: quelli “sonori”, cioè suonati sfregando i due piatti di metallo; e quelli “squillanti”, ovverosia sbattuti sonoramente per far sgorgare l’acclamazione), si coinvolgono tutti gli strumenti ma ancora non siamo alla conclusione.
Frustrando un immaginabile ma scontato accordo finale in maggiore, l’ultimo versetto introduce un bemolle sorprendente, cioè tre novità. Anzitutto il nome divino Yah (una forma abbreviata per Yhwh) prende il posto di “Dio” (El): si passa cioè dal nome sacrale generico al nome storico-salvifico, abbreviato in forma laudativa. La frequentazione fiduciosa del nome divino invocato già dai primordi della storia (Gen 4,26) e rivelato a Mosè sul monte Sinai (Es 3,14) è il patrimonio più prezioso del Salterio. Il Salterio infatti è una lunga e preziosa istruzione (cioè una Torah in cinque libri) per apprendere ad invocare il nome del Signore. A tale nome nessun uomo si può abituare, né v’è ceratura che lo possa manipolare. In secondo luogo l’abbandono dell’imperativo (“lodate!”) e la scelta di una forma desiderativa (“lodi”),sollecita la libertà di ciascuno, chiede un’adesione del cuore, ma insieme aggiunge una connotazione che profila una promessa. Infine non uno strumento musicale ma un soggetto vivente è invitato alla lode: il termine ebraico nefesh indica il respiro umano, la vitalità (Gen 2,7; 7,22), la singola persona vivente (Dt 20,16). Un così marcato riferimento antropologico è enfatizzato pure dall’aggiunta di col (“tutti”, “la totalità di”) che allarga al massimo grado i soggetti della lode. L’ultima parola del Salterio è pura lode, celebrazione della gloria di Dio, ringraziamento al Signore per il solo fatto che egli esiste.
Il libro che si era aperto con il mormorio dell’uomo che rumina giorno e notte la Torah (Sal 1,2), si chiude con un salto di qualità che trasporta dall’obbedienza alla lode. Il lettore, educato all’invocazione del nome del Signore da tutto il Salterio, ritrova questa stessa invocazione in perfetta coincidenza con il proprio respiro. Il compito dell’intero libro è condurre “la totalità di ciò che respira”alla lode di Yhwh, trasformando in canto ogni precedente preghiera.
don Matteo Crimella
Finestra per il Medio Oriente (Milano - Roma)