Questo calendario è pensato per essere un piccolo aiuto ad affacciarsi con rispetto alla fede dell'altro, attraverso le feste che ne scandiscono i ritmi e gli eventi.
Un invito quindi ad accogliere la preghiera dell'altro, così come Dio accoglie le preghiere che salgono a Lui da ogni angolo della terra.
Il tema che scandirà i mesi del 2023 sarà quello dell’ Umiltà.
Se volessimo incarnare l’umiltà in una figura biblica non potremmo non parlare di colui che è il padre della fede per ebrei, cristiani e musulmani: Abramo.
Abramo, infatti, è l’umile, il povero per eccellenza della Scrittura: egli si apre a Dio grazie alla sua povertà - la sterilità del suo matrimonio, la sua vita precaria di nomade e di anziano - ed è sempre grazie a questa povertà che risponderà a Dio, il quale lo renderà capostipite, padre di una moltitudine.
All’inizio della sua storia, è la povertà che mette Abramo in cammino, alla sequela di una promessa assurda – «Vàttene dal tuo paese, dalla tua patria e dalla casa di tuo padre, verso il paese che io ti indicherò. Farò di te un grande popolo e ti benedirò, renderò grande il tuo nome e diventerai una benedizione» (Gn 12, 1-2) – una promessa, per lui già avanti negli anni e senza discendenti, umanamente impossibile.
E quando la voglia di stanzialità sembra ad Abramo una prospettiva più allettante – «Venne una carestia nel paese e Abram scese in Egitto per soggiornarvi, perché la carestia gravava sul paese» (Gn 12, 10) – e quando il dubbio fa irruzione in lui – «Sarai disse ad Abram: “Ecco, il Signore mi ha impedito di aver prole; unisciti alla mia schiava: forse da lei potrò avere figli”. Abram ascoltò la voce di Sarai.» (Gn 16, 2) – Dio interviene nuovamente perché Abramo non perda il suo status di povero.
Infine, l’ultima, assurda proposta con la quale Dio rimette in gioco la vita di Abramo è la richiesta del figlio della promessa: «Dopo queste cose, Dio mise alla prova Abramo e gli disse: “Abramo, Abramo!”. Rispose: “Eccomi!”. Riprese: “Prendi tuo figlio, il tuo unico figlio che ami, Isacco, và nel territorio di Moria e offrilo in olocausto su di un monte che io ti indicherò”» (Gn 22, 1-3).
E Abramo nuovamente si piega alla voce di Dio, non ritenendola assurda.
Di fatto, con quella richiesta, il Signore impedisce ad Abramo di fermarsi, di pensare che la sua missione sia finita; Isacco, infatti, sarebbe potuto diventare la sua ricchezza, il suo luogo certo, la fine del suo pellegrinaggio…
Oggi noi cristiani possiamo guardare a quella richiesta con una luce nuova, quella di Cristo: l’umile, il povero, Colui il quale continua a proclamare beati i poveri, beati i pellegrini che non si fermano finché non giungono al regno dei cieli, beati coloro che non possiedono qui una città stabile ma guardano al cielo come meta.
Possiamo quindi concludere che la povertà, l’umiltà è l’unica condizione per permettere l’ingresso di Dio nella nostra vita e per metterci alla sua sequela, per sottomettere la nostra vita alla paternità e alla provvidenza di Dio. E alla sua sapienza.
Abbiamo così anche toccato il tema della “sottomissione” a Dio, tema così caro all’altra grande fede abramitica, l’Islam, che prende nome proprio da questo concetto: Islam, infatti, significa “sottomissione [a Dio]”. Potremmo banalmente leggere la parola “sottomissione” nella sua accezione negativa, ma sottomissione si può intendere anche come volontà di mettere la nostra debole vita sotto lo sguardo e l’amore di Dio.
Ma lo potremo fare se consapevoli della nostra povertà.
Non c’è dunque fede senza umiltà: solo i poveri seguono Dio e si fanno rimettere in gioco da Lui.
don Fabio Fasciani,
parroco dei santi Fabiano e Venanzio (Roma)