Questo Calendario vuole essere un aiuto ad affacciarsi con rispetto alla fede dell' altro attraverso le feste che ne scandiscono i ritmi e gli eventi, un invito ad accogliere la preghiera dell' altro, così come Dio accoglie le preghiere che salgono a Lui da ogni angolo della terra.  

 

 

 

SETE DI PACE

 «Pace fra cielo e terra, pace fra tutti i popoli, pace nei nostri cuori», così ogni domenica mattina imploriamo nell’Inno delle Lodi del Tempo Ordinario.

Ed è con questa profonda sete di Pace che iniziamo questo nuovo anno.

Pace, quanto mai invocata negli ultimi anni. I fatti li conosciamo: gravissimi attentati terrorostici che rivelano una capacità inaudita di odio e fanatismo, una guerra in Siria che non trova fine, ovunque da anni c’è un crescendo di violenza che non si riesce ad estirpare.

Questi fatti ci addolorano, ci interpellano, ci sconvolgono: pensiamo con dolore agli innumerevoli morti, ai feriti che porteranno per tutta la vita il segno della tragedia, alle famiglie distrutte, ai milioni di profughi, al pianto dei bambini. Nascono molte domande, ipotesi, inquietudini, paure e si vorrebbe capire, giudicare, vedere come agire per farla finita con il terrorismo, come operare seriamente per una pace duratura.

Nello sgomento che sembra paralizzarci o nella frenesia di fare qualcosa per ripararci da queste angoscianti situazioni, forse è bene fare una sosta per ritrovare una visione d’insieme e un respiro nel tempo che attraversiamo, un tempo denso di sofferenza, ma anche di attesa e di speranza, un “sabato del tempo”, proprio come il grande Sabato Santo, incastonato nel triduo pasquale della morte e resurrezione di Gesù. Un sabato fatto di smarrimento, tristezza, pesantezza e silenzio, ma anche di una fragile e al tempo stesso solida certezza in un Dio che non abbandona.

È vero, iniziamo l’anno con un futuro che risulta sbiadito e incerto, ma se facciamo memoria riusciamo ad intravedere anche profondi segni di speranza.

Lo ha ricordato papa Francesco nel suo discorso a Baku, lo scorso ottobre 2016: «Nella notte dei conflitti, che stiamo attraversando, le religioni siano albe di pace, semi di rinascita tra devastazioni di morte, echi di dialogo che risuonano instancabilmente, vie di incontro e di riconciliazione per arrivare anche là, dove i tentativi delle mediazioni ufficiali sembrano non sortire effetti».

Proprio per questo il Papa ha dedicato al dialogo interreligioso l’ultimo appuntamento in Azerbeijan, dove  –  nella sala principale della grande moschea “Heydar Aliyev”, accolto dallo Sceicco dei musulmani del Caucaso, insieme ai rappresentanti delle altre comunità religiose del Paese – ha detto: «Una pace vera, fondata sul rispetto reciproco, sull’incontro e sulla condivisione, sulla volontà di andare oltre i pregiudizi e i torti del passato, sulla rinuncia alle doppiezze e agli interessi di parte; una pace duratura, animata dal coraggio di superare le barriere, di debellare le povertà e le ingiustizie, di denunciare e arrestare la proliferazione di armi e i guadagni iniqui fatti sulla pelle degli altri. La voce di troppo sangue grida a Dio dal suolo della terra, nostra casa comune (cfr Gen 4,10). Ora siamo interpellati a dare una risposta non più rimandabile, a costruire insieme un futuro di pace: non è tempo di soluzioni violente e brusche, ma l’ora urgente di intraprendere processi pazienti di riconciliazione. La vera questione del nostro tempo non è come portare avanti i nostri interessi, ma quale prospettiva di vita offrire alle generazioni future, come lasciare un mondo migliore di quello che abbiamo ricevuto. Dio, e la storia stessa, ci domanderanno se ci siamo spesi oggi per la pace; già ce lo chiedono in modo accorato le giovani generazioni, che sognano un futuro diverso».

E ancora, come non ricordare lo sforzo fatto per favorire l’incontro ad Assisi “Sete di Pace” nel 30mo anniversario della Giornata mondiale di preghiera per la pace convocata per la prima volta da Giovanni Paolo II? Papa Francesco, il 20 settembre scorso assieme a tanti altri leader religiosi  ha pronunciato forti parole di speranza ricordandoci che in mezzo a tanto odio o indifferenza c’è un popolo pellegrinante di uomini e donne credenti che, come colombe di pace tra tanti corvi del malaugurio, rischiando anche del proprio, stanno lavorando per un mondo migliore.

«“Ho sete” disse Gesù dalla Croce», ci ha ricordato, dunque, papa Francesco ad Assisi, sottolineando che ancor oggi: «Le parole di Gesù ci interpellano, domandano accoglienza nel cuore e risposta con la vita. Nel suo “Ho sete” possiamo sentire la voce dei sofferenti, il grido nascosto dei piccoli innocenti cui è preclusa la luce di questo mondo, l’accorata supplica dei poveri e dei più bisognosi di pace. Implorano pace le vittime delle guerre, [conflitti] che inquinano i popoli di odio e la Terra di armi; implorano pace i nostri fratelli e sorelle che vivono sotto la minaccia dei bombardamenti o sono costretti a lasciare casa e a migrare verso l’ignoto, spogliati di ogni cosa. Tutti costoro sono fratelli e sorelle del Crocifisso, piccoli del suo Regno, membra ferite e riarse della sua carne. Hanno sete. Ma a loro viene spesso dato, come a Gesù, l’aceto amaro del rifiuto. Chi li ascolta? Chi si preoccupa di rispondere loro? Essi incontrano troppe volte il silenzio assordante dell’indifferenza, l’egoismo di chi è infastidito, la freddezza di chi spegne il loro grido di aiuto con la facilità con cui cambia un canale in televisione».

Purtroppo, dobbiamo ammetterlo, tutti noi abbiamo le nostre responsabilità, siamo tutti, in qualche modo, ciascuno per la sua parte, conniventi con i mali del mondo, con le nostre cecità e i nostri deliri.

Pace non è solo assenza di conflitto, cessazione delle ostilità, armistizio, non è solo rimozione di parole e gesti offensivi, ma è il frutto della fiducia, la sola che può aprirci ad un cambiamento di stili di vita e di criteri di giudizio, esercitandoci in un sincero e reale dialogo tra diversi, senza paura e pregiudizi verso l’altro.

Occorre dunque educarci a gesti concreti, pensieri e parole di perdono, di comprensione e di pace, al confronto sereno e responsabilie senza alcun sentimento di xenofobia e fanatismo.

Auguro a me e a ciascuno di noi, in questo 2017, di essere – come amava dire il Cardinal Martini – “sentinelle del mattino” che, vigilanti e attive, sanno intravedere l’alba di un nuovo giorno e annunciare così la “domenica” della tanto desiderata Pace, scambiandoci quel saluto di pace che tanto pronunciano sia musulmani che ebrei nel loro vivere quotidiano.

“Assalamualaikom”, “Shalom”: la Pace sia su di voi e con voi!

Mariagrazia Zambon

 

 

 

Questo calendario vuole essere un aiuto ad affacciarsi con rispetto alla fede dell'altro attraverso le feste che ne scandiscono i ritmi e gli eventi, un invito ad accogliere la preghiera dell'altro così come Dio accoglie le preghiere che salgono a Lui da ogni angolo della terra.

Calendario 2016 Copertina

Aprire un calendario nuovo, o imbattersi nella prima pagina di un nuovo calendario e trovarci una parola sulla speranza non è forse una piacevole co-incidenza?
Cioè che la speranza incida il tempo che ci si prospetta, e che il tempo incida in noi la speranza… parliamo di una bottega in cui si co-incide il legno del tempo e delle vite per farne opere d’arte.
La mano che incide non lo fa a caso, segue un progetto, e deve rispettare le fragilità e le linee del legno, perché questo non si rompa, allora ne scaturisce un’opera.
Ecco questo calendario nelle pagine ancora intonse di un nuovo anno, porta una o chissà quante promesse: il legno del tempo, si apre di fronte alla mano che vi può incidere qualcosa di nuovo. È un materiale ancora nuovo, guardatelo lì: 12 pagine con nomi di giorni, mesi, festività, e tutto è ancora intonso!
Deve ancora iniziare, deve ancora prender forma, anche se certamente ha già delle venature, fragilità e potenzialità da rispettare….
Ecco allora sfogliamo queste pagine, lasciamo che le nostre dita sentano il tocco di un foglio sottile che contiene secondi minuti giorni settimane… diamo un’occhiata fugace alle feste ebraiche cristiane musulmane che segnano il tempo di tante persone sparse per il mondo con culture usi costumi lingue tradizioni così diverse…
Tutti riuniti in un solo calendario, tutti al lavoro sullo stesso pezzo di legno che si chiama tempo, anno 2016, tutti nella stessa bottega che si chiama mondo…
Ogni giorno celebreremo il silenzio della sera, tutti; e ogni mattina sarà lo stesso sole a consegnarci la giornata.
Allora cosa ne facciamo di queste pagine? Lasciamo che altri decidano per noi? Lasciamo che sia il passato a schiacciare queste pagine imponendogli le sue consegne?
O possiamo muover la mano e lasciare qualche segno su questo morbido legno del tempo?
Per chi crede nel Dio di Abramo Isacco Giacobbe, il tempo non è un legno lasciato al caso, ma riposa nelle mani di un sapiente artigiano, Dio.
Qui è la radice del viaggio di Abramo, che contro ogni speranza crede, e non rimane deluso. Qui riposa la quiete di chi si fida del sapiente artigiano divino: non abbandona l’opera delle sue mani!
Speranza diventa dunque il modo di plasmare il nostro tempo: il mondo e il tempo sono frutto voluto, di un Dio sapiente che non abbandona l’opera delle sue mani.
La speranza credente non è dunque frutto di un vuoto ottimismo, ma un atteggiamento solido e necessario di chi sa che il tempo e la storia non sfuggono a Dio. Se la vita è un suo dono, ad ogni momento nasce un bimbo che è frutto della Sua fiducia in questo mondo, ad ogni momento si aprono fiori e nascono nuovi animali, piante, e tutto ci dice che alla Vita e alla sua Fonte il mondo gli interessa!
Tutta la storia biblica dell’Antico Testamento ci rimanda alla presenza di Dio, che anche nei casi di più brutale e violento abbandono della relazione con lui non viene meno alla sua benevole disposizione nei confronti degli uomini, deciso una volta per tutte: «Io stabilisco la mia alleanza con voi: non sarà più distrutta alcuna carne dalle acque del diluvio, né il diluvio devasterà più la terra»!
La speranza dei patriarchi, del popolo eletto e di ogni suo membro, è un faro che penetra nel buio della notte, di ogni notte, di ogni densità oscura, perché solida è la fonte da cui la luce sgorga: il magma incandescente della presenza vicina e inafferrabile di un Dio provvidente.
Chi ha conosciuto la presenza di Dio, o anche un suo fugace barlume non può venire meno all’impegno della speranza. Sarebbe schiacciare la vita nel punto di contatto dei piedi con la terra, rinunciando a qualsiasi sguardo verso l’altro, verso il cielo, verso l’ambiente intorno. Sarebbe rinunciare a Dio stesso da cui il mondo viene e a cui torna.
Il Cristo ribadisce questo atteggiamento amoroso dell’artigiano divino verso i suoi materiali, il mondo e la sua storia: il mondo è una bottega preziosissima: il Padre lo ha tanto amato da dare il suo Figlio unigenito! E proprio nel Figlio tutto, tutto il mondo, tutto il tempo viene riconciliato, non c’è spazio per qualcosa al di fuori del suo interesse! Dio non abbandona, il suo sangue è versato «per tutti», non ci sono residui di mondo al di fuori dell’interessa dell’Artigiano...
La speranza diventa dunque un’esigenza di fede radicale. Rinunciare alla speranza diventa un atto consapevole di abbandono del punto di vista di Dio.
La Sura 18 detta “della Caverna” (in arabo Al Kahf), è particolarmente preziosa, tanto che se ne raccomanda la lettura ogni venerdì. In essa vi si trovano quattro storie, la prima delle quali narra di 7 giovani che per sfuggire la persecuzione si rifugiano in una caverna, in cui si addormentano e Dio li custodisce con un sonno di 309 anni, per poi restituirli alla vita, fuori dalle grinfie dei persecutori. La vicenda (la cui prima ambientazione pare essere l’Efeso pagana da cui 7 cristiani scappano) presenta la presenza provvidente di Dio, che custodisce i suoi, ed è capace di farlo con mano potente e discreta al contempo, che rompe insidie apparentemente invincibili, e apre prospettive inaspettate. Non ci sono vicoli chiusi all’azione di Dio.
Il credente appartiene a un orizzonte che non gli è completamente disponibile: anche nelle situazioni più assurde Dio può aprire percorsi inaspettati, e quand’anche dovessero passare per la morte, rimangono percorsi di vita.
Dio non è il Dio dei morti ma dei viventi, e la speranza è atteggiamento vitale di questa consapevolezza di fede. Buon anno!
 
                                                                                                                fr Paolo Raffaele Pugliese, ofm cap
 
 

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